Armando Trovajoli
La storia, ambientata inizialmente nel 1930 in un paesino dell’Emilia, comincia con la voce narrante di Lorenzina che, costretta su una sedia perché invalida, è solita passare il tempo allietando e stuzzicando le ragazze della sua sartoria con le storie del paese, tra pettegolezzi e sottintesi. I racconti si concentrano su Anita, fidanzata con un bersagliere napoletano, Salvatore; dopo un bel pranzo i due vanno al fiume e Anita gli confida di essere assai legata a lui, stanno per sposarsi, e non può fare a meno di avere un appoggio. Lui fa una nuotata e muore per congestione, lei lo soccorre inutilmente. Dopo il funerale la zia la sollecita a riprendersi. Anita inaspettatamente rivede il fantasma di Salvatore, che le appare assai sereno e le dice di essere in paradiso, inutilmente cercano di toccarsi. Dopo circa sei anni Anita si fidanza con Carletto, ma ricompare Salvatore che le dice che Carletto è insulso e ha i piedi piatti, ed è vecchio. Anita litiga rispondendogli che non può star sola, ha già trent’anni; decide di sposarsi, ma al momento del sì scappa e torna a casa, dove ha nuovamente vari dialoghi con Salvatore. Gli anni passano, arriva la guerra, ma Anita continua a rimanere sola e ad avere dialoghi intimi e confidenziali con Salvatore, come fosse ancora vivo; scopre inoltre che aveva ragione, Carletto ha i piedi piatti. Salvatore nel frattempo ha imparato a cantare e le dedicata uno spirtual napoletano. Passa ancora del tempo e Anita, per fragilità fisica, si sente andar via e in punto di morte chiede a Salvatore dell’aldilà e del paradiso (l’annuncio sarebbe il suono delle campane); lui le confessa che in realtà non si trova in Paradiso, ma in Purgatorio (l’annuncio distintivo è il suono delle trombe) per qualche peccatuccio; lei ricorda allora di avere anch’essa trasceso con lui, ma confessa di non poter stare senza. Insieme rievocano un pomeriggio passato insieme nel boschetto tra varie effusioni: il suono delle campane in lontananza lascia spazio a quello della tromba che annuncia l’arretramento in Purgatorio, ma anche il loro ricongiungimento.
Al radiodramma, vincitore del Prix Italia nel 1960, prima volta per un’opera italiana, vengono subito riconosciute qualità rare: «Sospeso fra realtà e fantasia, narrato con un linguaggio che sfuma dal tono sommesso e un poco opaco del colloquio quotidiano allo squillo ed allo scintillio lirico, il radiodramma ci sembra destinato fin dal primo ascolto a un ampio successo di pubblico: è un’opera seria risolta con estrema semplicità di mezzi, un’accessibile divagazione fiabesca su temi grossi e impegnati come la morte e la fedeltà ai morti, e tocca con mano leggera, ma perentoriamente, le corde dei sentimenti» (Gigi Cane, I vincitori e le opere premiate, in «Radiocorriere», 1960, 42, p. 3). L’insieme è assai fine: il ricordo dell’uomo amato e tragicamente perduto domina tutta l’esistenza di Anita, con una serenità emergente anche dai colloqui e battibecchi col fantasma, serenità che dà completamente ragione al suo comportamento a volte, come da essa stessa riconosciuto, da pazza; ma anche con molta malinconia, per il lutto e pure per l’incapacità di rifarsi una vita da capo.
Il radiodramma,
apparentemente semplice per la sua felice scorrevolezza, ha invece
un’articolata scansione temporale, perché la storia comincia nel 1930, prosegue
nel 1935 e poi nel 1945, per poi sciogliersi nel 1960. Gli anni sono
comprensibili o perché esplicitamente riferiti dai personaggi o perché
deducibili da fatti storici ai quali si fa accenno. Il ritmo incalzante,
nonostante i numerosi salti temporali, è dato anche dalla dissolvenza
incrociata, utilizzata incrociando spesso eventi sonori di segno differente
(dalla musica ai rumori o viceversa), «puntando sulla capacità evocativa di
questi ultimi per rendere immediatamente la cornice della nuova scena» (Angela Ida De Benedictis, Radiodramma e arte radiofonica, Torino,
Edt, 2004, p. 112). La
sonorizzazione è perciò particolarmente importante con rumori e musiche per lo
più diegetiche. Ad esempio il radiodramma comincia con il rumore di macchine da
cucire, che individua la sartoria da dove Lorenzina comincia a raccontare la
storia e che sale di volume fino a mixarsi con un valzer molto veloce che evoca
le danze di Salvatore e Anita in una balera. Dal valzer si passa poi allo
sciacquio del fiume, seguito dal rumore del tuffo mortale di Salvatore e infine
al ritorno delle macchine da cucire che ci riportano alla voce narrante che
racconta come andarono i fatti. Da segnalare uno “spiritual napoletano”,
composto da Armando Trovajoli su testo di Antòn, di grande efficacia, così
introdotto nella didascalia: «Poi inizia una cosa strana. Ma non tanto strana
da divenire di moda un giorno o l’altro, dati i tempi, e cioè uno “spiritual”
napoletano. Il ritmo, la ripetizione e il modo di cantare dello “spirtual
negro”; le parole e il “sentimento” napoletani».
Gigi Cane, I vincitori e le opere premiate, in «Radiocorriere», 1960, 42, p. 3; Angela Ida De Benedictis, Radiodramma e arte radiofonica, Torino, Edt, 2004, p. 112. Il copione è stato pubblicato in Edoardo Antòn, La fidanzata del bersagliere, Torino, Rai, 1961.