La prima scena è uno scambio di lettere. All’inizio si ascolta quella inviata da Giuliana al suo innamorato Paolo, con la quale gli chiede di recarsi a Camogli, dove si trova in vacanza, e poi quelle che Paolo spedisce all’amico bibliotecario e poeta Mario e al professore di provincia Perrone, da cui si cominciano a evincere le sue inquietudini e insoddisfazioni. Paolo, neolaureato in legge nell’estate del 1946, si trova al nord Italia come rappresentante, ma con poca fortuna, tanto che presto verrà licenziato. Tornato a Roma incontra in birreria Mario, al quale confida la fragilità del suo rapporto con Giuliana e, per suo tramite, conosce Genovesi, ventottenne, anarcoide ex prigioniero di guerra degli inglesi in Africa, arrabbiato con la società. Dalla discussione cominciano a emergere le posizioni politiche, soprattutto la ricerca di una terza via che sia diversa da quella cristiana e da quella comunista, anche se non si nominano mai esplicitamente gli schieramenti, ma si citano le idee e le impostazioni.
Paolo raggiunge Giuliana a Camogli, ma deve fare finta di non conoscerla, perché i genitori la controllano con molta attenzione e hanno altri progetti per la ragazza. Si incontrano alla festa nella villa della maliziosa Maggy, che ha sedici anni e turba Paolo. Maggy lo bacia appassionatamente, ma non dà nessuna importanza alla cosa. Intanto Giuliana, che è con il fratello Guido, riesce ad appartarsi con Paolo. Nelle scene successive la voce narrante, quella di Paolo, procede con il racconto che spesso prende vita con l’ingresso di altre voci. Giuliana è rimasta incinta e Paolo con molto rimorso ma anche convinzione la spinge ad abortire. Intanto Genovesi lo viene a cercare perché ha escogitato un piano: vuole assassinare un importante uomo politico (Togliatti)[1], ma non può apparire lui, perché facilmente riconoscibile per una brutta faccenda trascorsa, allora trama di andare insieme a Paolo, del tutto incensurato, con uguali vestiti, in modo che sia lui a venire arrestato sul posto, ma certamente subito rilasciato, perché nella custodia del violino, anziché il mitra di Genovesi, gli avrebbero trovato davvero un violino. Paolo accompagna Giuliana ad abortire e dettagliato è il viaggio che conduce la coppia in questo luogo clandestino dove una dottoressa straniera si occupa delle interruzioni di gravidanza. Paolo molto turbato da tutto quanto va da Genovesi che lo chiude in casa, per preparare l’attentato. Quando tutto è pronto sopraggiunge all’improvviso Guido, che intende vendicare la sorella Giuliana, che si è morta dopo l’aborto, probabilmente per un’emorragia fulminante. A questo punto Genovesi capisce che il meccanismo dello scambio di persone per l’attentato non è più attuabile, non potendo apparire puro Paolo e si suicida gettandosi dal balcone. Paolo si dirige verso Montecitorio camminando in mezzo alla strada fra i due flussi di macchine che sfrecciano.
[1] «Il punto è che nel racconto era presente anche la figura di Togliatti, l’uomo con gli occhiali, al quale questi diseredati rimproveravano di voler vendere l’Italia allo straniero nella conferenza di pace di Parigi. Ne seguiva, sempre nel racconto, un attentato alla sua persona, che, però, non era il prodotto di una cospirazione, ma il singolo gesto di un paranoico che era stato prigioniero in Africa» (Elio Testoni, Dialoghi con Luigi Squarzina, Firenze, Le Lettere, 2015, p. 88).
Il radiodramma è la riduzione del racconto dello stesso Squarzina Quelli a cui importa, scritto tra il 1946 e il 1947, e arrivato secondo al Premio Riccione del 1948. Si narra di uomini confusi ideologicamente e politicamente, scontenti della loro sorte e velleitari nei progetti di rinnovamento spirituale. Si tratta perciò di un testo preveggente rispetto ai fatti che seguirono pochi mesi dopo, cioè l’attentato, il 14 luglio 1948 a Palmiro Togliatti. Nella messa in onda, avvenuta nel 1960, se l’attentato a Togliatti (qui mai nominato, ma solo alluso nell’«uomo con gli occhiali») è ormai storia, colpisce la ricostruzione di un ambiente, cioè le tensioni, i turbamenti, le follie di una “generazione difficile” uscita dalla guerra stordita e confusa. L’intero radiodramma, assai complesso per la successione degli eventi, il numero dei personaggi, la sofistica costruzione drammaturgica, è retto dalla voce narrante del protagonista. Il suo racconto è arricchito, durante i dialoghi, dalla comparsa delle voci degli altri personaggi, secondo un ritmo particolarmente efficace e tramite un impianto originale, perché basato su una struttura letteraria, che permette l’articolazione complessa di pensieri e punti di vista, e le accelerazioni dettate dalle scene drammatizzate. Così Squarzina riesce a mettere a fuoco in modo lucido la crisi soprattutto del protagonista, attraverso «un accurato quanto drammatico svisceramento degli atti del suo comportamento di fronte alla vita. Lettere, telefonate, confessioni, incontri fuggevoli, colloqui di Paolo con gli amici, con la ragazza che l’ama, con sconosciuti, sono altrettante tappe del suo progressivo fallimento di fronte alla società organizzata»[1].
Paolo si trova difronte ad una società che sta cambiando rispetto ai precedenti stereotipi, ne è la dimostrazione il suo stupore di fronte alla disinibizione di Maggy, cui corrisponde la sua insofferenza per la dolcezza dell’amore di Giuliana, ma che è ancora bloccata dentro rigide regole comportamentali (il controllo familiare, la gravidanza indesiderata e il necessario aborto clandestino, il suicidio per disperazione…). Paolo cade nel fascino del fanatico Genovesi, a propria volta ormai più che emarginato dalle esperienze di guerra, di prigionia che hanno solcato le sue recenti esperienze fino a fargli perdere il lume della ragione. Si viene così a creare il corto circuito della morte di Giuliana e della conseguente frana del folle progetto di attentato, con la morte anche di Genovesi: non resta quindi che darsi al “cupio dissolvi” di camminare nel messo di strada fra due flussi di auto in velocità.
Il copione è pubblicato su «Terzo Programma», 1962, 1, pp. 290-329.