Commenti musicali di Bruno Rigacci
Bruno Rigacci
Quel che può succedere in un «qualsiasi casamento di una qualsiasi località» dalla sera alla mattina: le discussioni di zitelle attempate sull’amore perduto, l’attesa per un bimbo che deve nascere, la giovane laureanda che vuole uscire a divertirsi, il bambino affezionato all’uccellino Cip in gabbietta, il vecchio colonnello scapolo che s’innamora della giovane serva, il poeta mancato che vive con la zia e poi il sonno, nel quale ciascuno coccola i propri desideri, e infine il risveglio con la realtà, dura a volte, ma comunque veritiera: il bimbo si accorge che Cip è morto, la giovane laureanda ha tentato il suicidio, fortunatamente senza riuscirci, perché l’amato sembra essersi allontanato, il colonnello decide di sposare la giovane serva, il bambino è venuto alla luce e i giovani sposi fanno l’amore. Come indica il narratore all’inizio del radiodramma, l’ascoltatore deve lasciarsi prendere per mano dal diavolo claudicante Asmodeo, che scoperchia le abitazioni. E così entrare negli appartamenti e origliare i dolori e le gioie di un’umanità che di notte «crede di essere la sola creatura sulla terra, raccolta nella propria intimità, […] e non sa invece che “a sognare la speranza del sole è una folla”» (E. M., Dal tramonto all’alba (Radiodramma di G. Negretti), Radiocorriere, 1956, 12, p. 45). Le discussioni e i pensieri ruotano tutti attorno ai rapporti amorosi e familiari, alla vita di coppia, ai figli che devono nascere o che non son nati, agli anni che passano e al futuro incerto.
La voce fuori campo del narratore incornicia la storia dentro l’unità di tempo di una notte e nell’unità di spazio di un casamento. Come pochi anni prima era accaduto per La domenica della buona gente di Vasco Pratolini e Gian Domenico Giagni (1952), la piccola comunità racchiusa in uno spazio ristretto diventa metafora di un’umanità più ampia e popolare («un casamento qualsiasi, in una località qualsiasi, ma potrebbe essere la vostra»). Anche l’idea di intrufolarsi dentro un casamento e seguire la vita che si nasconde dietro le porte di molti appartamenti su tanti piani aveva avuto un precedente proprio alle origini della produzione radiofonica, con Isolato C, la prima opera di Ettore Giannini (1935).
Il silenzio della notte, le luci per lo più spente, i sospiri e i sussurri favoriscono un clima acustico costruito tramite rumori semplici, ma che acquisiscono particolare valore: il bussare alla porta come una visita inaspettata, il rumore di passi del vicino di sopra che impediscono di addormentarsi, il piatto che si rompe durante una lite. L’ascoltatore, come una presenza invisibile, sente le confessioni, le ansie, le speranze, i timori, le fantasie che si scambiano i numerosi personaggi, nello spazio intimo della notte. La dimensione uditiva è esaltata dalla percezione dei personaggi che sono a loro volta ascoltatori curiosi o involontari di quel che si sente dal vicino di sopra o di sotto. Le parole e i rumori che oltrepassano le pareti o le porte fungono da collegamento tra una scena all’altra. I versi declamati nella notte a voce troppo alta ci portano direttamente a casa del giovane poeta, così come il rumore di un piatto rotto ci introduce nella vita dei due sposini. Le scene sono quasi sempre costruite da dialoghi a due voci. L’ambiente acustico è costruito soprattutto da rumori di vita domestica (le sedie che si spostano, il vino versato nel bicchiere, i piatti sotto il lavandino, il campanello…). Le voci sono ben calibrate nella dinamica delle distanze e nella risonanza dei luoghi chiusi. Le musiche di Bruno Rigacci funzionano da sipario acustico a due terzi del radiodramma quando, dopo il suono delle campane, comincia una melodia per pianoforte e clarinetto. Il narratore spiega adesso che ci possiamo avvicinare ai personaggi e ascoltare i loro sogni. Le parole e i pensieri ora hanno un carattere ancora più intimo e sussurrato, e sono sostenute dalla medesima melodia appena percettibile che contribuisce a rafforzare l’aspetto onirico e che si conclude al risveglio dei personaggi.
Enzo Maurri, Dal tramonto all’alba (Radiodramma di G. Negretti), in «Radiocorriere», 1956, 12, p. 45.