La moglie di un condannato a morte trova per caso nella propria valigetta da viaggio una lettera dalla quale risulta inequivocabilmente che suo marito non è l’assassino, perché non si trovava nel luogo del delitto. La sedia elettrica è fissata solo fra mezz’ora e il direttore del carcere non può rinviarla. Le consiglia perciò di prender contatto col giudice MacLeane che ha presieduto la corte. La moglie del condannato telefona al giudice, ma le risponde la consorte che le indica l’hotel dove dovrebbe trovarsi il giudice, ma invano, perché non vi risulta. Le dice allora di contattare alcuni amici, e finalmente questi le dicono che il giudice dovrebbe fermarsi in una piccola stazione per pochi minuti. Se chiama immediatamente, forse c’è ancora qualche possibilità. Ormai sembra tutto perduto. Invece all’ultimo momento la moglie riesce a parlare con il giudice che, a suo volta, riesce a far interrompere l’esecuzione.
Il radiodramma, tradotto da Ippolito Pizzetti, è un’abile storia di lotta contro il tempo e la sua durata coincide esattamente con il tempo che rimane alla moglie per impedire che venga eseguita la condanna capitale del marito. Tutta la vicenda si svolge al telefono, per questo e per la ricercata suspense il lavoro ricorda Scusi, ha sbagliato numero? di Lucille Fletcher. L’ansia di non farcela cresce di minuto in minuto. Vi si frappone l’apparato delle chiamate interurbane mediante centralino allora in uso. Le centraliniste sono efficienti, ma il sistema ha le sue regole. Il radiodramma è puntellato dai rumori tipici del telefono e dalla contrapposizione delle voci di tutti gli interlocutori con la voce accelerata e sempre più disperata della moglie. Anche se la situazione si prospetta irreale, al tempo circolarono ipotesi consimili di rinvio della sedia elettrica all’ultim’ora.
«Radiocorriere», 1956, 45, p. 38