Per effetto di un’esplosione di grisù una squadra di tre minatori rimane intrappolata in una galleria della miniera senza sfondo, al buio e con poca aria. Il più giovane si chiama Fritz ed è gravemente ferito alla gamba. Non può muoversi. Dalle ansie e le speranze di liberazione ai reciproci incoraggiamenti, specie nei confronti del giovane morente, il dialogo tra i minatori assume il carattere di confidenze sulla vita. Fa da esatto contraltare la rispettiva attesa delle donne (le due mogli e la madre del figlio), in collegamento con Patrick, che dà notizia dei soccorsi. Anch’esse confidenzialmente rivelano la reale situazione affettiva che sta alla base di ciascun rapporto. Alla fine la squadra viene liberata, ma non si tratta di facile happy end: il ragazzo non ce l’ha fatta a resistere ed è morto. Un altro minatore sopravvive, ma perde la vista e viene sostenuto amorevolmente dalla moglie.
Nei momenti estremi della
vita, quando si è a un passo dalla morte o dalla salvezza, sembra arrivi il
momento delle confessioni e delle confidenze. Così i tre minatori raccontano
della loro vita e lo stesso fanno le donne. Le riflessioni amare sulla vita, in
forma quasi di brevi monologhi, si alternano ai dialoghi legati alla condizione
di pericolo alla quale sono sottoposti i minatori. Alle tre voci maschili fanno
da contraltare le tre voci femminili che, in modi diversi, attendono notizie
dai soccorritori. In questa suddivisione si inseriscono anche le scene di
delirio del giovane ferito che, nell’incoscienza, ascolta e dialoga con la
madre. Un suono ondeggiante e inquietante – sembrerebbe di un’onde Martenot –
funge da sipario per dividere le scene. Lo spazio acustico restituisce per
accenni il riverbero tipico della voce pronunciata nelle cavità sotterranee.
Non ci sono altri rilevanti inserti rumoristici e musicali, prevale la
dimensione verbale del dialogo e del monologo. I minatori nel buio più completo
si danno forza attraverso la parola. Si ripercorre perciò la stessa modalità di
Pericolo di Richard Hughes, il primo
radiodramma, andato in onda sulla BBC nel 1924. Anche in quel caso la storia
inizia con il rumore di un’esplosione che fa saltare la luce e i personaggi si
trovano immediatamente al buio. Nel «Radiocorriere» Altendorf è così presentato:
«Il giovane drammaturgo tedesco (è nato a Magonza il 1921) si prese la prima
pallottola sul fronte russo, durante l’ultima guerra: ed era una pallottola
nella schiena, che lo fece stare parecchi giorni fra la vita e la morte. La
seconda pallottola venne poco dopo, appena rispedito al fronte, e provocò una
ferita alla mano. La terza pallottola gli portò via l’occhio destro. Forse
questa esperienza così cruda, e così diretta, è quella che ha lasciato il segno
più profondo anche nella sua opera di drammaturgo (iniziata subito dopo la fine
del grande conflitto) e che balza fuori con tanta evidenza dalle tragiche scene
di La colpa di essere uomini, il suo
capolavoro. La storia di questo dramma è significativa. Presentato a un
concorso radiofonico quando l’autore era uno sconosciuto, venne prima premiato
dalla giuria, ma subito dopo respinto dai dirigenti della Radio bavarese che si
erano spaventati per la forza della polemica antimilitarista» (G. C., Al buio,
in «Radiocorriere», 11, 1956, p. 45). Il radiodramma è tradotto e adattato da
Italo Alighiero Chiusano ed è pubblicato su «Il dramma» (218-219, 1954, pp. 110.118).
Gaetano Carancini, AL BUIO. Radiodramma di Wolfgang Altendorf, «Radiocorriere», 1956, 11, p. 45.