Da ragazzo Eugenio – protagonista e narratore della vicenda – ha fatto da guardiano delle vacche nella montagna Baitan: in una capanna si ritrovava a scambiarsi confidenze e a fumare col coetaneo Mulz, figlio di un brigante, che cantava nel gelo (interpretato da Alfredo Bianchini). Qualche anno dopo, Eugenio riceve la chiamata divina che lo conduce in convento, facendosi frate. Un giorno in convento riceve il brigante che gli racconta la sua drammatica vita e restituisce il denaro rubato al convento perché non accettato dalla peccatrice Agnese. Così convince il brigante a non rapinare più e a vivere i suoi ultimi anni lavorando al convento. Eugenio piange alla sepoltura del brigante, meravigliando i presenti, poi si reca dalla bellissima peccatrice, che aveva corrotto i maschi del luogo, la converte: lei dona tutto ai poveri e si fa reclusa.
Nasce così la fama di santità di Eugenio, che fonda altri conventi anche a Baitan, ma lui non è soddisfatto e dopo cinquant’anni ritiene di dover cercare qualcuno simile a lui per confrontarvisi, per capire se la sua è vera santità. Il fratello guardiano gli rivela di averlo trovato in sogno, si trova in una terra lontana, Beguna, e si chiama Miluti. Eugenio parte e durante il lungo cammino la gente lo saluta come santo, arriva alla frontiera di Beguna, dove pure uno dei doganieri lo aiuta perché conosce la sua fama di santità e il vescovo lo raggiunge in carrozza, ma nessuno sa dirgli nulla di Miluti, anzi tutti cercano di dissuaderlo dal proseguire perché a Beguna c’è tutta gentaglia.
Alla fine Eugenio lo trova. Miluti canta in una bettola malfamata, ma poi si parlano e lui riconosce in Miluti il suo amico dell’adolescenza, fumando insieme una sigaretta come allora. Apprende che Miluti fa una misera vita da asceta, dando tutto quel poco che guadagna ai bambini poveri. Eugenio torna indietro, ma si accorge che ora tutti, principalmente i confratelli, lo trattano con derisione da vecchio rimbambito, e si ritira a pregare nel monastero dell’originaria Baitan, meditando sulla frase: «molti vivono nell’odio e credono di vivere nell’amore, e molti credono di vivere nell’odio e in realtà vivono nell’amore».
La
voce del frate Eugenio (interpretato da Adolfo Geri con molta efficacia, nella
commozione, nel dolore, nella speranza…), ormai anziano e provato dalle
sofferenze della vita, introduce la propria storia, tenendo il filo della
narrazione come voce fuori campo, mentre si succedono con una sonorizzazione
precisa e sobria i ricordi della giovinezza, della vita in convento, del
viaggio, dell’incontro con Milutin. Come in altre opere narrative di Heinrich Böll, al
centro vi è la ricerca di se stessi e di una fede autentica, come ben si comprende,
allorché Eugenio sogna di vedere il vescovo e altri uomini prostrati dinanzi al
brigante a confessare i loro reali peccati. Nell’amico di un tempo, rimasto
generoso nella miseria fino al sacrificio di sé, riconosce quale avrebbe dovuto
essere la sua vera vita, al di là di quel che pensa il normale bigottismo. E lo
scherno nei suoi confronti, che alla fina prende il posto dell’originaria
adorazione, gli mostra come la via dell’amore sia autentica nel brigante. C’è
anche una nostalgia per l’autenticità perduta nel rivivere per un momento, fumando una
sigaretta con il vecchio amico, l’esperienza adolescenziale di
convivialità nel gelo. Il tema musicale, introduce il radiodramma e
riaffiora in diversi momenti, a volte come intermezzo tra le scene, a volte, in
sottofondo, sottolineando il clima drammatico della vicenda. Da segnalare anche
le canzoni di Milutin di Stefano Platamone, cantate da Alfredo Bianchini e
l’adattamento cinematografico Il viaggio
a Beguna di Giuseppe Di Martino (1962) con Giulio Bosetti e Andrea Bosic. Il radiodramma è tradotto e adattato da Italo Alighiero Chiusano.
Italo Alighiero Chiusano, Viaggio a Beguna. Un radiodramma di Heinrich Böll, in «Radiocorriere», 1958, 43, p. 8.