Torino 1949. Il signor Alfred Guerin (falso nome di un barone francese) incontra a Torino il giovane squattrinato Umberto Pacifici (il cui fratello è morto in guerra da partigiano), proponendo di offrirgli cinquanta milioni perché prenda in affitto la dependance della sua villa presso Parigi da cui è scappato (perché condannato a morte per collaborazionismo coi tedeschi), affinché recuperi i gioielli lì nascosti e glieli riporti. Pacifici si reca sul posto e con molte difficoltà riesce ad avere dalla moglie di Guerin in affitto la dependance; il guardiano Gerard gli è ostile perché il figlio è stato ucciso dai tedeschi, ma la sua figlia Lise s’innamora di lui e i due si accordano per fuggire insieme prendendo il compenso promesso, pur avendo remore per la tragicità dell’origine dell’affare, trattandosi di gioielli estorti durante l’occupazione. Umberto trova scavando la cassetta, ma non c’è più nulla, telefona a Guerin che non gli crede, torna sul posto su tutte le furie e cade nella trappola così appositamente ordita da Gerard che lo uccide.
La trama è costruita in maniera un po’ complicata nelle resipiscenze moralistiche di Umberto, che raffronta la sua posizione con quella del fratello ucciso dai tedeschi: la stessa scelta da compiere durante la guerra si ripropone adesso nella decisione di impossessarsi del denaro sporco o di rinunciarvi, la scelta su da che parte stare (che durante la guerra non aveva compiuto per la giovane età o per viltà). I medesimi angoscianti dubbi si ripropongono con riguardo alla situazione di Lise che, pur avendo avuto anch’essa un fratello ucciso dai tedeschi, s’innamora di lui non si sa bene come, all’improvviso. La trappola poi sembra un po’ ingenuamente far giustizia di tutti. La narrazione comunque procede spedita, mossa dai misteri che piano piano vengono svelati e che riguardano il recente passato della guerra, tempo di denunce, vendette e tradimenti. Nella prima parte il radiodramma segue modalità teatrali, reggendosi interamente sul dialogo, nella seconda parte, ambientata nella villa parigina, le voci acquisiscono leggere risonanze a indicare le ampie stanze dagli alti soffitti e un forte riverbero nel dialogo interiore con la propria coscienza; si ascoltano infine musiche d’atmosfera utilizzate come sottofondi o come brevi intermezzi.
Lidia Motta, Il topo. Radiodramma di Raffaele La Capria, in «Radiocorriere TV», 1959, 50, p. 10.